12 marzo 2024 – Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari
“La rabbia non aiuta ad ottenere una buona cura”
Documento a cura del Gruppo di lavoro inter-Ordini “Benessere degli operatori sanitari e contrasto allo stress lavoro correlato e al burn-out”
“Nessun paese, ospedale o clinica può proteggere i
propri pazienti a meno che non mantenga i propri
operatori sanitari al sicuro” (O.M.S., 2020)
La violenza nei confronti del personale di assistenza e di cura è un fenomeno di rilevanza mondiale per dimensioni, frequenza e gravità che, come segnalato dalle cronache quotidiane, sta continuando a crescere ben oltre le criticità alimentate dalla passata emergenza pandemica, contribuendo in modo significativo al malessere e alla demotivazione degli operatori sanitari e sociali e soprattutto alla loro crescente decisione di abbandonare il lavoro di cura, impoverendo ulteriormente i ranghi già molto ridotti dei professionisti operanti nel SSN. Alla parola “violenza” si tende ad associare una connotazione fisica, quella più rilevante delle aggressioni vere e proprie, ma la violenza psicologica, verbale e comportamentale, fatta di insulti, gesti e minacce, è decisamente più frequente, più subdola e ugualmente devastante.
Numerosi sono i fattori responsabili di atti di violenza diretti contro i professionisti delle cure, nelle strutture sanitarie come sul territorio. Sebbene qualunque operatore sanitario o sociale possa essere vittima di violenza, alcuni sono a rischio più alto in quanto per il loro lavoro si trovano a contatto diretto e spesso prolungato con il paziente, magari da soli, e devono gestire rapporti caratterizzati da una condizione di forte emotività e a volte di perdita di controllo sia da parte del paziente stesso che dei familiari, i quali si trovano spesso in uno stato di vulnerabilità, frustrazione, paura e rabbia, specialmente se sotto l’effetto di sostanze o di qualche disturbo di personalità, ma in qualche misura anche per l’esasperazione causata dalle carenze del sistema sanitario.
I fattori di rischio variano da struttura a struttura, dipendendo dalla tipologia dell’utenza, dai servizi erogati, dalla loro ubicazione e dimensione, dall’adeguatezza degli spazi e dalla durata dell’attesa della prestazione, dalle diverse culture organizzative e dalle dinamiche emotivo-relazionali coinvolte nel processo di cura. Tra i contesti più esposti figurano i servizi d’emergenza-urgenza, quelli della salute mentale e delle dipendenze patologiche, le terapie intensive, ma anche la medicina e la pediatria del territorio e le strutture residenziali per anziani e disabili.
Come dalle raccomandazioni del Ministero della Salute n. 8 del 2007 e da quelle più recenti dell’Osservatorio Nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, gli episodi di violenza contro operatori sanitari devono essere considerati eventi sentinella, in quanto segnali della presenza nell’ambiente di lavoro di situazioni di rischio o di vulnerabilità che richiedono l’adozione di opportune misure di prevenzione e protezione dei lavoratori e delle lavoratrici.
La prevenzione degli episodi di violenza a danno degli operatori sanitari richiede che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e ponga in essere le strategie organizzative, strutturali e tecnologiche più opportune, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi sanitari, incoraggi il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie atte a eliminare o ad attenuare la violenza nei servizi sanitari. Ma solo l’impegno comune di tutti (direzioni aziendali, professionisti e loro rappresentanti, organizzazioni sindacali, rappresentanti dei cittadini, organi di informazione) può migliorare l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro.
È importante che si preveda, accanto a pene adeguate per le aggressioni, anche una formazione degli operatori, obbligatoria e mirata, sulle misure di auto-protezione, sugli aspetti della comunicazione (con particolare riguardo alle tecniche di de-escalation) e della relazione terapeutica nei confronti delle persone assistite.
Un’azione preventiva molto opportuna da parte del “datore di lavoro” sarebbe quella di predisporre del materiale informativo (cartelli, opuscoli) al fine di mitigare la tensione con l’utenza, a cui si potrebbe spiegare che molti dei disagi ai quali vanno incontro non sono imputabili agli operatori ma derivano da criticità organizzative sulle quali per lo più gli operatori non hanno il potere di decidere, come lunghe liste di attesa, visite brevi, luoghi affollati e poco accoglienti, carenza di informazioni.
Fondamentale è anche una più adeguata cultura del rischio, che contrasti il pregiudizio e la rassegnazione diffusi tra gli operatori – soprattutto in contesti come l’emergenza o la salute mentale – secondo cui le aggressioni farebbero parte del loro lavoro, atteggiamento che alimenta il fenomeno delle omesse segnalazioni degli episodi di violenza, attivando un meccanismo di assuefazione tale per cui chi entra in servizio sa già che riceverà un’aggressione, verbale, psicologica o fisica che sia.
Al di là delle necessarie misure preventive di natura sociale, organizzativa e legate all’ambiente fisico di lavoro che occorre adottare all’interno di un contesto aziendale, anche in ottemperanza alle leggi e alle normative vigenti, ogni programma di prevenzione dovrebbe assicurare un opportuno trattamento e sostegno agli operatori vittime di violenza verbale, fisica o emotivo-relazionale e a quelli che possono essere rimasti traumatizzati per aver assistito ad un episodio di violenza. Il personale coinvolto dovrebbe poter ricevere un primo trattamento, che includa una valutazione e un supporto di tipo psicologico, a prescindere dalla severità del caso. Le vittime della violenza sul luogo di lavoro possono presentare, oltre a lesioni fisiche, una varietà di situazioni cliniche tra cui traumi psicologici di breve o lunga durata, timore di rientrare al lavoro, cambiamento nei rapporti con colleghi e familiari, fino al “disimpegno morale” e ai possibili “comportamenti controproduttivi”: distacco, disimpegno, anche azioni che possono produrre errori clinici, danni con ricadute di immagine ed economiche per gli operatori e per le Aziende sanitarie, che altro non sono se non forme disfuzionali di autodifesa dal sentimento di non essere riconosciuti e protetti da parte dell’organizzazione. Pertanto, è necessario assicurare un trattamento appropriato per aiutare le vittime a superare il trauma subito e prevenire lo sviluppo di uno stress post-traumatico.
La tutela degli operatori sanitari dagli atti di violenza e dai loro esiti è un modo per difendere non solo i diritti dei lavoratori, ma anche quelli degli utenti, perché nelle “relazioni di cura” si dà quello che si ha: se sono ansioso dispenso ansia, se sono preoccupato diffondo preoccupazione, se provo rabbia parlo in modo rabbioso, e così via, con una progressione in stile “domino” dove l’ultimo elemento a cadere è l’alleanza di lavoro, senza la quale la cura non funziona più.
Il Gruppo di lavoro inter-Ordini su “Benessere degli operatori sanitari e contrasto allo stress lavoro correlato e al burn-out”
In rappresentanza di
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Torino
Ordine Assistenti Sociali del Piemonte
Ordine dei Biologi del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Ordine dei Farmacisti della Provincia di Torino
Ordine dei Fisioterapisti del Piemonte e Valle d’Aosta
Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Torino
Ordine della Professione di Ostetrica Interprovinciale di Torino, Asti, Cuneo, Alessandria e Aosta
Ordine delle Professioni infermieristiche di Torino
Ordine degli Psicologi del Piemonte
Ordine TSRM-PSTRP di Torino, Aosta, Alessandria, Asti